venerdì 27 giugno 2008

Pittura e Poesia


Valerio Fabbri, Francesco Osti e Roberto Pagnani

venerdì 20 giugno 2008

L'incisione in Italia OGGI


Alla presentazione ed alla mostra inerente la pubblicazione del
"REPERTORIO DEGLI INCISORI ITALIANI (5° Edizione)"
sarà presente anche un'opera di grafica incisoria di Roberto Pagnani

Presentazione del catalogo "Fuoridisé"


MAGI '900

"OGGETTI" (Roberto Pagnani), segnalato al concorso di pittura tenutosi, nel mese di giugno 2008, al museo MAGI '900 di Pieve di Cento (Bo).

sabato 14 giugno 2008

FRANCESCO BIANCHINI



La forma nel dettaglio: l’arte e la pittura di Roberto Pagnani
(di Francesco Bianchini)


Percorrendo una lunga e lenta pianura, dove lo sguardo veloce si posa su macchie, alberi solitari, campi arati nitidamente intrecciati, case, assembramenti di edifici, sparse persone di ogni tempo, l’unica cosa che si può cogliere in modo definito è il dettaglio. Sfuggono le forme generali, i sistemi paese-campagna, le topografie delle città, i complessi avvinti al territorio. La pianura non è come la collina che dipinge i suoi spazi e li rappresenta, grazie all’innato macchinario dei piani inclinati, al visitatore, al passante, distratto o attento che sia. La pianura è ciò che è solo nel ricordo di chi la percorre, di chi sa mettere insieme tutti gli aspetti e i caratteri dei luoghi che ha visto, di chi ricorda il senso e le volte della strada con cui ha tagliato la pianura, perché ogni spostamento è tale in questo luogo con una sola dimensione verticale: quella dell’assenza.
L’arte di Roberto Pagnani è un’arte di pianura. L’arte di Roberto Pagnani oltre a questo è anche pittura. Nei suoi quadri non si trovano solo i colori, non sono tele stese di forme senza asperità, levigatamente incastonate. I materiali che a volte incontriamo sono frutto di quello stesso territorio che rappresentano, sono il punto di contatto fra ciò che la raffigurazione è e ciò che fa la raffigurazione, un ponte che, incredibilmente ma naturalmente, si instaura fra opera e rappresentato, mantenendo le stesse misure (lo stesso pezzo di legno o di metallo trovato in una valle o in una spiaggia al limitar del mare), ma anche la stessa scala, lo stesso rapporto. I pezzi della realtà sono pezzi anche del quadro, perché, come si è detto e si dirà, i dettagli, nell’opera di Pagnani, danno la forma, e il complesso mantiene la sua dimensione complessiva perdendo la forma complessiva a favore dei dettagli. Ma, ancora qualcosa sui pezzi e i materiali.
Nonostante l’emergere della loro consistenza, come di un volto sporgente sulla testa che lo contiene, anche essi vanno considerati secondo la dimensione verticale dell’assenza. Il pezzo fuoriesce ed è questo dettaglio, il fatto che fuoriesce – nel modo in cui fuoriesce – a mostrare il suo ruolo nella formazione della figura complessiva, a farla rimanere ancora, in tutto e per tutto, pittura, distesa bidimensionale rappresentativa. Così, nel ciclo Paesaggio e materia, cioè che emerge e il dettaglio materico che ci permette di cogliere le forme cristallizzate della pianura innervata di valli. Le industrie sono chiodi eterni del paesaggio che trascorre lentamente. Le piattaforme sono un accenno in rilievo della lontananza con cui si percepisce il distacco della loro funzione di piccole pianure artificiali nell’acqua densa e instabile, nella notte liquida del mare. Le palafitte sono pali infitti nel quadro come nei corsi d’acqua estenuati di un qualche delta appena al di là del tempo conosciuto, ai cui piedi si ammassano i residui casuali del costruire umano a comporre forme inaspettate, volute e cercate, invece, nel quadro, nella pittura.
E appunto l’arte di Roberto Pagnani è, e rimane, pittura, come una pianura che lancia immobili costruzioni al cielo, che gioca a sfasare i dettagli del suo orizzonte quasi sempre confuso, ma rimane pianura. Allora, anche dove Pagnani non usa materiali o pezzi, anche dove le asperità della singola opera diminuiscono, nella sua opera sono i dettagli a creare il doppio effetto di sfocamento dell’orizzonte e di quasi-definizione della forma. Quando parliamo di dettagli, alludiamo al colore che viene utilizzato, e che non è mai distaccato dalla forma particolare della “macchia” con cui viene istanziato in quel momento; alludiamo alle linee che intersecano le macchie di colore, che rendono definito ora quella parte, ora quell’altra, del quadro, come in una paesaggio, appunto, avvezzo a svelare il determinato nell’informe bagliore soffuso dell’indeterminato. Il ciclo di Memorie è un manifesto incarnarsi di questa concatenazione di determinato-indeterminato che potremmo definire “poetica del segnale”.
Proprio perché l’opera di Roberto Pagnani affronta nel corso degli anni con continuità stilistica temi concettualmente e raffigurativamente contigui, la poetica de segnale soggiace alle scelte relative all’uso delle forme geometriche nel ciclo Ritratti e corpi. Qui la geometria è presente con figure non regolari, eppure simili ad altre regolari. La loro concatenazione produce il segnale, il richiamo all’umano attraverso le sue dimensioni caratteristiche, che un soggetto può avvertire al tatto, ed elaborare col ricordo, o sentire, in un atto unico, propriocettivamente. In questo ciclo di Pagnani è proprio il risultato della percezione propriocettiva a costituire la vera forma rappresentata, a essere quella pianura autopercepita del proprio corpo e del proprio volto, a un tempo luminosi e vaghi per chi li ascolta dall’interno. E se il soggetto è l’artista stesso, l’autoritratto può essere sia manifestazione dell’attenzione con cui ci si osserva, sia osservazione del proprio atteggiamento contemplativo, quest’ultimo sempre immaginato e mai visto, perché non si può vedere la propria contemplazione senza trasformarsi in un soggetto attento a qualcosa. Perciò, è ancora una volta la poetica del segnale, nel dettaglio degli sguardi dipinti, a superare in potenzialità espressive l’attualità della visione speculare e la fragilità dell’eterno attimo fotografico.
E, infine, le Navi, il ciclo maggiore di Roberto Pagnani. Qui l’uso del dettaglio viene spinto alle sue estreme potenzialità, i colori si connettono reciprocamente, le linee, oltre ad attraversare le macchie di colore informandole e deformandole, tracciano confini netti, ampi spazi di contenimento, così come nella pianura gli orizzonti. Per apprendere i quadri di questo ciclo l’occhio deve percorrere tutti i colori a uno a uno, sommando in senso logico e non aritmetico le parti della figura. Qui l’opera viene fuori per considerazione mereologica e non per giustapposizione cumulativa, così che le navi siano mobili nel fondo immobile: il mare, la terra, una costa lontana, il bordo di un canale, ma anche lo sfondo senza dimensioni del quadro, il contesto non dettagliato monocromo o policromo. Le navi sono il tempo che passa sulle cose, sono oggetti che ci trasportano su terre e acque disposte a scacchiera, come fra sensazioni e pensieri compiuti, razionalmente delimitati. Sulla nave, il bastione delle costruzioni artificiali, ancora una volta, è il segno dell’umano nel divenire di un viaggio che è già stato, ma che potrà avvenire di nuovo; è la rappresentazione della macchina con cui il tempo viene percorso, sul lento sciabordio ondoso della realtà informe. Lo strumento che è la nave permette all’uomo la costruzione della forma delle sue azioni. Qui ritorniamo al dettaglio, quello della costruzione della chiglia, delle cabine, della stiva, il segnale che, se un uomo è nel tempo, nel tempo quell’uomo a piccoli gesti – con piccole forme – dà vita alla forma sfrangiata del suo reale sottraendolo al caso della realtà non vissuta, fuori dal tempo, anonima, e perciò, in definitiva, neppure meritevole di essere una non-forma che si offre pura all’occhio.
Tra le cose che non hanno più speranza e quelle che non hanno più tempo sono gli esseri umani i protagonisti dell’opera di Roberto Pagnani.