martedì 5 maggio 2009

Per un'estetica del naufragio di Vladimiro Zocca


PER UN’ESTETICA DEL NAUFRAGIO

Le navi di Roberto Pagnani appaiono come pensieri della memoria corrosi dal tempo.
Sono strutture-metafore che si districano dalle nebbie di un tempo passato e presente.
Nebbie acquee intrise di pungente salmastro marino e di fumiganti idrocarburi terrestri.
Scandiscono e congiungono, nel presente personale dell’artista, due tempi esistenziali dell’artista.
Il passato remoto che lambisce una lontananza incisa dai segni antichi e dalle cromie vetrose di Bisanzio.
Il passato prossimo di un’infanzia che ha assistito all’attacco di tutte le tinte del grigio e del nero da parte di un mondo artificioso che non guarda la natura.
Un mondo che si sta disfacendo nelle chiazze catramate di un tempo del produrre che è già un poi oltre la modernità.
Navi della nostalgia, della decadenza, della corrosione.
Ma i colorati sensi di corrosione pittorica di cui sono fatte le navi di Roberto celano un orizzonte alchemico di continua rinascita creativa.
La magia di una tecnica mista personalissima, accosta, combina, fonde relitti di darsene perdute, vestigia frammentate di cripte e di sarcofaghi appartenenti ad un’antica civiltà adriatica, tracce mnestiche di una equorea natura palustre non ancora dimenticata.
I colori sono costituiti dalle aspre ma accese vernici usate dall’industria.
Allora, navi tracciate da ferrosa asprezza come morchiate ombre di strutture di un industrialismo ormai obsoleto prendono il mare “verde piatto” dell’essere, nel tempo senza tempo di un eterno ritorno fuori del tempo di un viaggio senza fine.
Ricordano il vascello fantasma della nordica leggenda marina dell’Olandese volante, cantata da una romantica ballata di Heine.
Ma le navi di Roberto si portano dietro memorie di antiche geometrie del tempo delle palafitte che derubavano l’Adriatico e di moderne proporzioni di ferro e di fuoco che strutturavano la rivoluzione industriale.
E’ un’alchimia della corrosione che lascia campo libero ad un’estetica del naufragio.
Le navi, in quanto strutture del pensare, sono metafore dell’ essere che hanno sempre in vista la cognizione esistenziale del naufragio.
E’ la consapevolezza di quello che Jaspers chiama “salto”.
Salto fra l’orientazione nel mondo, fondata sulla conoscenza scientifica, e il pensiero dell’esistenza che, attraverso la visione e la conoscenza delle cose e degli oggetti, si spinge oltre il sapere di essi, verso l’essere in sé.
Estetica del naufragio che apre alla trascendenza del fare arte.
Navi, dunque, come paesaggi del disfacimento tecnologico che, nel fare dell’artista, vogliono possedere l’Adriatico per cercare altri mari oltre l’orizzonte infinito dell’essere.
Vladimiro Zocca