Per Alberto Martini. Ravenna, cinquant’anni dopo
L’Accademia di Belle Arti celebra lo storico dell’arte a mezzo secolo dalla scomparsa
Alberto Martini (Acquanegra sul Chiese 1931-Santarcangelo
di Romagna 1965)
Per quanto gli estremi anagrafici di Alberto Martini siano
tanto ravvicinati, non è facile condensare in poche righe la sua variegata
esperienza di storico dell’arte: carta stampata, editoria periodica, mostre,
radio e televisione sono solo alcuni degli ambiti che rievocano gli interessi
del personaggio. Nella ricostruzione della sua pur breve vita ci viene in
soccorso l’archivio composto di carte e fotografie che facevano parte del suo
materiale di studio; da questo fondo sono tratte le immagini e i documenti
presentati in questa mostra, che intende rendergli omaggio in occasione dei
cinquant’anni dalla sua scomparsa.
Nato in provincia di Mantova, ma presto trasferitosi a Ravenna
dove la famiglia si stabilisce, il percorso critico di Martini inizia sui
banchi dell’Università di Firenze, allievo del più grande storico dell’arte
italiano del Novecento, Roberto Longhi; con lui si laurea nel 1954 preparando
una tesi su un pittore complesso come Bartolomeo della Gatta (1448-1502), di
cui ancora oggi gli studi non hanno prodotto una monografia.
Trasferitosi a Milano nel 1958 in cerca di maggiori
opportunità lavorative, l’attività del giovane nel capoluogo lombardo debutta
nel clima fervido che si instaura tra la fine degli anni Cinquanta e i primi
Sessanta, un momento di straordinaria apertura culturale che vede la
collaborazione di tutti gli operatori a diversi livelli. Sono anni in cui gli
storici dell’arte lavorano in sintonia con i musei, lo Stato gioca una parte
fondamentale e anche il mondo del commercio e delle gallerie coopera alla
riuscita di notevoli progetti culturali. È nel periodo del boom economico che
Martini intraprende a passo sostenuto il sentiero della storia dell’arte con
un’operosità frenetica e qualificata, entusiasta e scientifica, che spesso
caratterizza i «tecnici» della disciplina formatisi in quegli anni di fervore
culturale ed economico.
Nemmeno trentenne, cura il catalogo della pinacoteca di
Ravenna, che esce nel 1959; nel 1960, uno dei rari italiani in quei decenni,
pubblica articoli di fondamentale importanza su testate come l’«Art Bulletin» o
il «Burlington Magazine». Nello stesso tempo scrive su numerose altre riviste
come «Apollo», l’«Approdo letterario», «Arte antica e moderna», «Arte Club»,
«Arte veneta», «Il Veltro», «Il Verri», «Il taccuino delle arti», «Il Tirreno»,
«La Biennale di Venezia», «Paragone», «Pirelli», «Settimo giorno», «The
Connoisseur». Gli argomenti sono tra i più disparati: articoli sul Trecento
riminese, sulla pittura del Seicento emiliano o su Poussin, accanto a testi su
Vuillard, Mafai, l’antica pittura cinese, l’arte americana alla Biennale di
Venezia o Ben Shahn.
Ciò che colpisce della figura di Martini è la varietà dei suoi
interessi, degli ambiti di ricerca e dei mezzi a cui sa accedere, svolgendo la
propria attività in poco più un decennio, fino alla precoce scomparsa nel 1965.
Sullo scorcio degli anni Cinquanta cade l’esperienza di
direzione di una rivista di taglio borghese come «Arte figurativa antica e
moderna»; nello stesso momento inizia la collaborazione con la radio,
soprattutto per la rubrica «L’Approdo», e con la nascente televisione. Per la
RAI Alberto lavora a diversi documentari di argomento artistico, dagli edifici
(castelli, palazzi e ville) dal XII al XIX secolo alle cronache delle mostre
contemporanee, passando per Medardo Rosso, Virgilio Guidi o Mattia Moreni.
Nel 1960 avviene il “fatale” incontro con Dino Fabbri
(1922-2001), che da ora monopolizzerà quasi in toto l’attività di Martini per
la propria casa editrice. Quella svolta in collaborazione con la Fabbri è una
produzione per l’epoca innovativa, che fa della storia dell’arte per la prima
volta un fatto di “massa”: la disciplina artistica e in generale la cultura
sono distribuite in edicola al servizio della gente (350 lire), mantenendo un
alto livello scientifico; il giovane, insieme al patron della casa milanese, è
condirettore delle collane artistiche Fabbri fino al 1965.
La prima serie prodotta è «Capolavori nei Secoli», per cui
Martini nel 1961 intraprende, su commissione degli editori, un viaggio di oltre
sei mesi per musei e collezioni d’Europa, d’America e d’Asia, occupandosi del
reperimento delle illustrazioni. Con l’apporto tecnico del fotografo Alfredo
Loprieno, Martini gira i tre continenti, compiendo scatti di prima mano
appositamente per l’occasione; per lo studioso è una grande esperienza
formativa e per la casa editrice un notevole arricchimento: dopo quella data
possiede un archivio iconografico di enormi dimensioni.
Non occorre poi rammentare l’importanza de «I Maestri del
Colore» e quale notevolissimo ruolo abbiano giocato nell’ampliamento della
conoscenza artistica presso le classi meno agiate della società; ma va
ricordato almeno quanto l’esordio della collana debba al successo della mostra
su Mantegna di Giovanni Paccagnini a Mantova nel 1961, per la prima volta
davvero popolare: non è certo un caso che il primo numero della raccolta
(redatto da Martini) sia proprio dedicato a Mantegna, artista a cui capita in
sorte al principio degli anni Sessanta di porsi come punto fermo, giro di boa
della democratizzazione della storia dell’arte in Italia.
Vanno infine menzionate serie come Pittura in Europa,
«L’Arte racconta», «Mensili d’arte» o «Elite»; di queste, come delle collane
già citate, non si contano le traduzioni che la Fabbri edita all’estero e le
ristampe occorse nei decenni seguenti.
Lungo l’arco della sua attività Martini rivolge poi attenzione
anche al mondo del commercio, collaborando in qualità di consulente con la
nascente casa d’aste Finarte e dedicandosi all’universo delle gallerie d’arte,
per le quali cura mostre e relativi cataloghi di artisti contemporanei.
Quella di Martini per la storia dell’arte è una passione
pervasiva che influenza anche le sue frequentazioni quotidiane. Tra le amicizie
del critico e della moglie (nel 1961 sposa Paola, figlia dell’artista ticinese
Alberto Salvioni) si trovano i nomi di alcuni tra i principali artisti,
critici, collezionisti, galleristi, editori e letterati degli anni Sessanta; un
rapporto particolare si instaura con Alberto Giacometti (1901-1966).
19
– 28 maggio 2015
Inaugurazione:
martedì 19 maggio, 11.00
A
cura di Federica Nurchis e Roberto Pagnani
Presentazione
e conferenza di
Federica
Nurchis e Filippo Trerè
Ravenna,
Accademia di Belle Arti, Galleria dell’Accademia
Via
delle Industrie, 76
Lunedì
– venerdì, 09.00 – 18.00